Thomas Mann ha impiegato 12 anni a scrivere questo libro che affonda le verità filosofiche sulla malattia e la morte.La storia di cui si parla ne La montagna incantata è molto più vecchia dei suoi anni è una età che «non si può misurare in giorni né in lune, in una parola essa non deve veramente la sua maggiore o minore antichità al tempo (…) e la sua estrema antichità è data dal fatto che essa avviene prima del limitare di un certo abisso che ha interrotto la vita e la coscienza dell’umanità…» ( Thomas Mann, La montagna incantata) cosìne parla nella sua introduzione. Un romanzo complesso che richiede molta attenzione nella lettura.Il protagonista Hans Gastorp si reca a visitare il cugino Gioachino malato di tisi nel sanatorio di Davos finisce per ammalarsi lui stesso e per restarvi 7 anni.Si innamora di un'ospite del sanatorio, Madame Chauchat, e passa lunghe ore conversando con due intellettuali: l'italiano Settembrini erede della tradizione illuministica, e il gesuita Naphta, più tardi suicida, esponente del mondo romantico e decadente. Un altro singolare personaggio, l'olandese Pepperkorn, rappresenta l'istinto irrazionale, il predominio dei sensi e della natura.Infine lo scoppio della guerra del 1914 finrà per strapparlo da questa atmosfera distorta e rarefatta e a farlo tornare alla vita reale che lo conduce sui campi di battaglia, dove si troverà coinvolto nella carneficina: la sua sorte resta incerta, anche se immersa in un clima di morte.Un libro che ti attira in una spazio senza tempo dando la visione di cosa sia la malattia e la morte.Potrei definirlo oltre che un compendio filosofico un grande libro di formazione che stimola alla riflessione. Da leggere! Un brano «Con una espressione di severa pace sul volto mutato, col naso appuntito dalla lotta sostenuta, egli giaceva sul suo letto di parata (…). Poiché era già la terza volta in così pochi anni che la morte impressionava lo spirito ed i sensi – specialmente i sensi – del piccolo Giovanni Castorp, tale vista e tale impressione non gli erano più nuove (…). Con la morte andava congiunta una circostanza più significativa, tristemente bella, vale a dire una circostanza spirituale e nello stesso tempo un’altra completamente diversa, addirittura opposta, molto corposa, molto materiale che non si poteva designare né come bella né come significativa (…). Colui che giaceva là disteso o meglio ciò che giaceva là disteso non era il nonno, era un involucro fatto - come Giovanni Castorp sapeva – non di cera ma della sua propria materia. Questa era la circostanza sconveniente e tanto poco triste come ogni cosa che ha attinenza con il corpo e soltanto con esso”. Ma “la circostanza solenne e spirituale aveva la sua espressione nel modo pomposo con cui era composto il cadavere, nella magnificenza dei fiori e dei rami di palma i quali, com’è noto, significano la pace celestiale» (Thomas Mann: La montagna incantata).