“Il sentiero dei nidi di ragno” è il primo libro di Italo Calvino ambientato all’epoca della Seconda guerra Mondiale e della Resistenza Partigiana. Calvino sceglie di far raccontare la storia attraverso la vita e le vicissitudini di Pin un bambino in cerca dell’amicizia pura che dovrà crescere troppo in fretta al di là della sua età, un po’ riconducibile ad una vena autobiografica della vita di Calvino. Pin non ha amici, infatti è considerato da tutti l’amico dei grandi. Un giorno recandosi all’osteria incontra un capo Partigiano che lo invita e lo sfida ad impossessarsi di una pistola di un soldato tedesco. Pin riesce a rubare questa pistola e decidere dopo vari discorsi pregni di cattiverie di nascondere questa arma vicino ai “nidi di ragno” il suo posto segreto. Pin successivamente verrà arrestato per questo furto e qui conoscerà Lupo Rosso dopo che è stato fatto arruolare nella Brigate Nere, poi conosce Pietromagro l’uomo per cui faceva il garzone, poi conosce Cugino, Giglia, Mancino, Pelle, Dritto, Kim e Ferriera che saranno artefici di molti avvenimenti, e di quella comprensione che sarà risultato di una singola amicizia che come lucciole è destinata a brillare e a tenere per mano anche quando fuori sembra che il buio avanza.
“Pin non sa ancora cosa vuol dire: avere dei nemici. In tutti gli esseri umani per Pin c'è qualcosa di schifoso come in vermi e qualcosa di buono e caldo che attira la compagnia.”
“Quel peso del male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c'è la storia. C'è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall'altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m'intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la metà dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l'operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione.”
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