Inizio la riflessione sul primo romanzo dell’iconica saga di Harry Potter, dopo diverso tempo dalla conclusione della lettura. Quando avviai il recupero del genere fantasy, tanti anni fa, mi mancò proprio l’opera di J.K. Rowling. L’occasione per iniziare la scoperta dell’epopea della scuola di Hogwarts e dei suoi allievi è stato l’annuncio della produzione della serie TV da parte di HBO che dovrebbe trasporre per ogni stagione un libro della saga. Le riprese sono in corso e stanno già trapelando i nomi del cast e le foto. La serie sarà trasmessa nel corso del 2027 e in Italia dovrebbe approdare su NOW.
Sono giunta alla lettura di Harry Potter da adulta, per di più dopo tutte le polemiche, con annessa tempesta mediatica (per non usare altri termini) che stanno accompagnando l’autrice, scrittrice, sceneggiatrice e produttrice cinematografica inglese, Joanne (Kathleen, in omaggio alla nonna paterna) Rowling, dal 2020 fino ad oggi. Di quanto aver espresso un’opinione attraverso il famigerato tweet polemico del luglio di quell’anno, sul suo profilo X da circa quattordici milioni di followers, le sia costato caro, accendendo la cosiddetta controversia Rowling vs. trans, tacciando l’autrice di essere anti-transgender, a causa delle sue posizioni in difesa della natura femminile. Sappiamo di come, negli ultimi anni, il diritto di opinione e la libertà di pensiero ricevano attacchi da ogni parte, autoritarismo politico, attivisti per i diritti civili, cancel culture, uso spropositato dell’AI, commenti sui social, e via discorrendo.
Senza addentrarmi nello specifico, ho notato un fatto drammaticamente curioso: qualunque sia il pretesto, i libri scritti della Rowling corrono sempre lo stesso rischio. Il rogo. Quando furono pubblicati dal 1997 in poi, furono oggetto di controversia da parte di alcune associazioni fondamentaliste ed estremiste negli Stati Uniti, essendo considerati diseducativi, peccaminosi, pericolosi perché o incitavano i bambini alla disobbedienza, o celebravano la magia nera e le streghe. E si è calcolato che furono prodotti sei roghi. Negli anni più recenti, l’odio che si è scatenato contro la Rowling per le sue dichiarazioni ha provocato nei suoi fans un’ondata di delusione incredibile e qual è stata la sorte dei libri? Quando è “andata bene” si strappava il frontespizio con il nome dell’autrice, altrimenti... bruciati.
So che ormai il buon senso è passato di moda, ma stento a comprendere e ad accettare il gesto di mettere al rogo un’opera letteraria, ricordando in questo modo tempi cupi della storia, tra l’altro proprio da parte di individui che vantano una certa apertura mentale. Lo trovo molto pericoloso, più di certe idee espresse magari in maniera un po’ sgangherata.
Condivido, a questo proposito, l’ultima dichiarazione da parte dell’attrice Keira Knightley, impegnata nel doppiaggio di Dolores Umbridge, villain presente dal quinto libro, Harry Potter e l’Ordine della Fenice, per la versione Audible della saga. Alla domanda di che cosa pensasse del boicottaggio sul lavoro della Rowling, lei ha risposto: “Mi dispiace molto. Penso che stiamo vivendo in un periodo in cui tutti noi dovremo capire come convivere, non è vero?... Abbiamo tutti opinioni molto diverse. Spero che riusciremo a trovare il rispetto reciproco". Eh già...
Per la recensione del romanzo in questione, pubblicato da Salani Editore, parto dall’eloquente introduzione del semiologo Stefano Bartezzaghi (noto per essere tra gli autori della Settimana Enigmistica) che parla del compito affidatogli dall’editore, ossia una revisione della traduzione dei romanzi, alla luce della saga nel suo complesso e della conseguente evoluzione dei personaggi. Un'attività che riguarda alcuni nomi come Severus Piton, il cui cognome in originale era “Snake” o Albus Silente, che in realtà era Albus Dumbledore, quest’ultimo nome arcaico di “bumblebee”, ossia il “calabrone”. Alludeva così alla statura di un personaggio bizzarro ma temuto dai suoi nemici. Ma la traduzione scelta consente di evidenziare di quanto i silenzi del preside di Hogwarts rappresentino un importante espediente narrativo per le avventure di Harry.
Harry è un orfano e questo è sicuramente un topos letterario non originalissimo; è affidato ai perfidi zii Dursley e al viziato cugino Dudley che, nella loro ricercata “normalità”, non riescono a concepire il nipote come un essere speciale, forgiato da un grande destino. Forse i capitoli sulle angherie subite da Harry sono quelli in cui mi sono sentita un po’ fuori target, con il rischio di considerare le cattiverie dei Dursley ridondanti e gratuite con una certa bidimensionalità e senza alcuna evoluzione narrativa. Questo, chiaramente, soffermandomi solo sul primo romanzo. Certo, è pur vero che nei loro goffi e ripetuti tentativi di impedire al nipote di frequentare la scuola di magia, si nota la metafora di quelle forze oscure che cercano di impedirci di trovare la nostra strada, le stesse sperimentate dalla Rowling.
Comunque, quando Harry viene soccorso da Hagrid e finalmente parte dal Binario Nove e tre quarti, ho provato un certo sollievo. La scuola di magia rappresenta per questo bambino la sua vera casa, dove poter trovare sé stesso, costruire legami autentici di amicizia, riscoprire le proprie radici e il valore del sacrificio dei suoi genitori, combattere i cattivi e distinguere il potere della magia dai suoi effetti nefasti, personificati da Lord Voldemort. In tutto questo, la migliore caratterizzazione resta, a mio parere, quella del carismatico Severus Piton, interpretato al cinema dal compianto Alan Rickman: un presunto antagonista, la cui ambiguità e lotta interiore non è altro che una parvenza per celare il vero plot twist finale. La sua complessità psicologica è molto suggestiva.
E resta il forte simbolismo della Pietra Filosofale che racchiude le due grandi tentazioni dell’animo umano: la ricchezza facile e l’immortalità.
I romanzi della Rowling vanno intesi nella loro essenza, tipici della letteratura per ragazzi. Non il tentativo di creare una nuova religione o ribaltare l’ordine mondiale (ammesso che esista ancora un ordine).
Ciò che mi ha sempre colpito è che l’autrice abbia ricevuto la “pura ispirazione” per creare Harry Potter durante un viaggio su un treno in ritardo, mentre la sua vita cadeva a pezzi: la perdita della madre, la separazione dolorosa dal marito, il sussidio di disoccupazione. Il ricordo di quei vicini di casa che conosceva da bambina e che si chiamavano proprio Potter e amavano travestirsi da maghi a Carnevale, insieme agli studi classici, sono stati la base per creare una serie che ha venduto cinquecento milioni di copie, con sette libri pubblicati in dieci anni e tutti gli altri corollari alla saga principale, oltre i successi al botteghino dei film prodotti.
Risulterò scontata, ma preferisco considerare questo aspetto: non conta di quanto i condizionamenti esterni ci portino ad arrenderci e gli ostacoli da affrontare diventino sempre più alti e impervi. L’aspirazione profonda, scritta dentro di noi, troverà sempre il modo di emergere. E, come diceva un altro mago iconico della letteratura tolkeniana: “Dove la volontà non vien meno, una via si apre”.
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