Persecuzione
  • 9788804573739
  • Mondadori
  • 2010

Persecuzione

di Piperno Alessandro

Luglio 1986. Una villa immersa nel verde, alle porte di Roma. Raccolta intorno alla cena, una bellissima famiglia: Leo è un quarantaottenne oncologo infantile di fama internazionale, Rachel un medico e una madre dedita e rigorosa, Filippo e Samuel due figli alle soglie dell'adolescenza. Il tg delle otto lambisce in sottofondo questo momento di intimità quasi perfetta, fino a che, proprio dalla tv, giunge la notizia che cambierà per sempre la vita di ciascun membro della famiglia Pontecorvo. Leo è accusato di un reato ripugnante. L'attività di primario, la correttezza di professore, ogni dettaglio della sua vita intima e civile sta per essere messo in discussione dai nemici e dagli amici di un tempo, da giornalisti ingolositi e puntigliosi magistrati, assistenti truffaldini e scaltri avvocati, truci galeotti e secondini brutali... Così, dalla sera alla mattina, il professor Pontecorvo si ritrova trasformato nell'oggetto privilegiato del pubblico biasimo: vittima inerme di odio, pettegolezzo, delazione, calunnie, intimidazioni. Leo sarebbe forse in grado di sopportare tutto questo: ciò che lo annienta è il silenzio della moglie e dei figli. Che siano loro i primi a non credere alla sua innocenza? Questo romanzo, affollato di personaggi memorabili eppure percorso dalla linea monodica di un solo lamento, mette in scena su un palcoscenico angosciosamente simile alle nostre case il dramma senza tempo e senza riscatto della giustizia umana e dei suoi (inevitabili?) errori. Fonte http://www.ibs.it/code/9788804573739/piperno-alessandro/persecuzione-fuoco-amico.html


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Commenti (4)

01/01/2012 - emera
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sei rimasto in silenzio per la vergogna o per lo stupore? Ho già conosciuto lo stile di Piperno quando mi sono avventurata nella lettura del suo primo romanzo, che ho tuttavia abbandonato (ma che mi riprometto di leggere nuovamente più avanti). Asciutto, tagliente, ironico; il testo scorre via agevolmente. Ed anche il tema non è male e neanche così inverosimile. Uno stimato professore, oncologo pediatrico di fama internazionale, la cui vita viene letteralmente distrutta dalla denuncia per tentato stupro da parte della dodicenne fidanzatina di uno dei suoi due figli. Accuse false, che lo faranno capitolare, sconvolgendo la sua intera esistenza, il lavoro, il rapporto con i suoi figli, quello con sua moglie Rachel, fino a portarlo alla morte. Accuse di una ragazzina infatuata che vistasi, chiaramente, respinta decide con metodo, con una furbizia ed una malignità degne di un adulto navigato, di rovinare la vita ad un uomo maturo che appare, di contro, totalmente incapace di reagire. Completamente in balia degli avvenimenti, che subisce con stoica resistenza fino a quando non decide di abbandonarsi ad essi e a farsi sopraffare. Quello che mi ha colpito maggiormente di Leo Pontecorvo è proprio questa sua inerzia, questo suo subire gli eventi e l’ingenuità con la quale si muove nel mondo, che stridono con la figura di professionista affermato qual è. Un personaggio maschile comunque non così infrequente da incontrare anche nella realtà ma del quale sin da subito si fa fatica ad avere stima; forse simpatia, si, se non altro per tutto quello che è costretto a subire. Proveniente da una famiglia benestante della borghesia romana, sopraffatto da una madre snob, iperprotettiva ed ipocondriaca; ed ora sposato con Rachel, che ha sempre vissuto in un angusto appartamento del vecchio Ghetto, che “continua ad esalare (persino nel ricordo) l’odore di verdure bollite e rifritte”. E che ora, moglie di un Pontecorvo e amministratrice di tutto il patrimonio e degli interessi del marito, continua in un certo senso l’opera di “protezione” dalle offese del mondo esterno iniziata dalla madre di lui alla nascita. Al di fuori della realtà dell’oncologia pediatrica, nel quale Leo è un semidio, non ha esitazioni, si muove con sicurezza, al di fuori di questo mondo Leo è perduto, vacilla. Ha sempre bisogno dell’appoggio della madre prima, della moglie adesso. Teme talmente il giudizio della moglie e allo stesso tempo ne è così dipendente, sul piano psicologico e su quello pratico, da riprodurre fedelmente “l’incastro emotivo” che per tanti anni aveva regolato il legame con la madre. E tuttavia il loro è un matrimonio che “ funziona a singhiozzo, come tutti i matrimoni felici” nonostante dall’esterno sia evidente che il loro rapporto sia squilibrato, per la differente estrazione sociale, per il modo di relazionarsi con la religione. “Dovevano essere in molti a chiedersi come un uomo dello charme e dell’estrazione di Leo Pontecorvo avesse potuto sposare una giudiola di piazza. La cui riservatezza poteva essere scambiata per apatia, e il cui desiderio di invisibilità poteva essere confuso per scipitezza. Qualcuno si chiederà come quel pezzo d’uomo bello e slanciato, romantico come un pianista slavo (capelli ribelli e dita affusolate), medico in corsia e professore cui il camice bianco dona come il frac a certi direttori d’orchestra, abbia potuto sposare la minuta e tutt’al più graziosa Rachel Spizzichino” Il romanzo non è, a mio avviso, solo la triste e kafkiana vicenda di un accusato ingiustamente di un crimine odioso che viene travolto dagli eventi, ma anche la storia di un matrimonio forse comune a tanti altri, la storia di differenze sociali e religiose che alla fine vengono sempre fuori in un rapporto: “Eppure, sebbene ridotti all’osso i battibecchi tra Leo e Rachel sembrassero sempre vertere su quel modo alternativo di vivere l’ebraismo, in realtà questo non faceva che dissimulare le vere ragioni di tanta reciproca aggressività: ossia l’appartenenza a due ceti sociali diversi, e in qualche misura antitetici. Insomma, il dissenso religioso era il coperchio di latta che cercava di serrare il ribollente calderone del dissidio classista” Una menzione a parte, una vera chicca, che ho trovato davvero divertente ed istruttiva, la mini-lezione sulla masturbazione maschile in età adulta. Il romanzo termina con la morte di Leo, chiuso da mesi nel seminterrato di casa nel quale si era esiliato volontariamente, con un finale “aperto” che indica chiaramente un seguito. Non ho ben capito chi sia la voce narrante delle ultime righe, ma aspetterò con ansia il seguito.

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20/02/2012 - GIRASOLA
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Ho iniziato questo libro con un po' di perplessità e sia perché chi me l’ha prestato si è premurato di indicarmi la noia quale effetto collaterale della lettura e sia perché mi è capitato di leggere alcune recensioni negative provenienti da alcuni critici letterari. Sapete le frasi tipiche da critici? Quelle che possono adattarsi ad ogni scrittore in ogni tempo, in ogni luogo, con ogni clima? Proprio quelle del tipo: - Piperno ha scritto un libro al di sotto delle aspettative; - Non è riuscito a mantenere l’alto livello del romanzo precedente; - Il romanzo non tiene il lettore incollato alle pagine, - Fuciliamolo. (Questo non lo dicono, ma lo pensano. Lo so). - Torturiamolo. (Idem come sopra) E tali recensioni hanno un peso, in qualche modo, se si considera che al momento dell’uscita del suo primo romanzo "Con le peggiori intenzioni" è stato acclamato come il Roth italiano o, addirittura, è stato paragonato a Proust (ma di questo accostamento, a dire il vero, non ho appurato la veridicità: insomma, se è vero che è stato fatto, non so chi l’abbia fatto). E' entrato nelle grazie di D'Orrico. Insomma, un'eredità forte.... Per farla breve, inizio – bellina, bellina - a leggere e, per un po', ho aspettato che succedesse qualcosa. Ho atteso – sempre bellina, bellina - che si uscisse dalla mente sia del protagonista sia della di lui moglie. Poi, mentre andavo avanti con le pagine ho capito una cosa. L’illuminazione. Tutto era già successo. Sì, nelle prime due righe. Tutto era già successo nell'incipit che, diligentemente, riporto "Era il 13 luglio del 1986 quando un imbarazzante desiderio di non essere mai venuto al mondo s’impossessò di Leo Pontecorvo”. Il resto sono flash back e , soprattutto, una lunga sega mentale. Ma proprio lunga. L'esimio professor Leo Pontecorvo è nella merda. Lui, ebreo romano, ricco, bello, colto, stimato oncologo pediatrico, professore universitario, fedele alla moglie, buon padre. Tutte queste qualità in un'unica persona: non si è risparmiato nulla. Già proprio così. E fu così che cadde dal dorato piedistallo. Troppo in alto ti collocasti, Leo, e troppo dolorosa fu la caduta. Come se non bastasse l’accusa di essere implicato in un affare di tangenti, un bel dì, appare, in tv, la sua immagine. Il giornalista parla di strane letterine. Sembrerebbe che il nostro esimio avrebbe intrattenuto una non sana corrispondenza con la dolce e ingenua Camilletta, fidanzatina del suo secondogenito, Filippo detto Fili. Dopo tale notizia cosa fa il nostro Pontecorvo? Cerca di chiarire con la famigliola che banchetta serenamente? No. Cerca di parlare? No. Si incazza come una belva? No. Ultima possibilità: piange? No. Niente di tutto ciò. Il caro Pontecorvo, con la testa colma di pensieri, si rintana nello scantinato della villa familiare. Per ore, giorni e mesi. E lì, si consuma. Si dilania. E se all'inizio il professore appare un po' antipatico, e a ciò contribuisce l'amore viscerale per il Craxi nostrano e anche per monsieur Mitterand, alla fine il lettore si intenerirà. E’ inevitabile la nascita di un senso di pietà. Una voglia di dire "Oh, Pontecorvo nonostante tu sia un brutto Craxiano del cavolo, nonostante sia pieno di soldi, per favore, ripigliati! Difenditi!" Ma lui sceglie di non farlo. La scrittura di Piperno mi piace, mi appassiona. Egli riesce a scandagliare l’animo dei suoi personaggi con precisione quasi da psicoterapeuta. Ho la fortuna di non aver letto il suo precedente “Con le peggiori intenzioni” e così non posso dire – come i critici – ha deluso le aspettative, visto che non ne avevo. Peccato, da grande non potrò fare la critica. Meglio così mi sono goduta un bel romanzo che, forse, in alcuni tratti è risultato prolisso, ma, nel complesso, buono.

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09/11/2012 - sofia
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Persecuzione di Alessandro Piperno è il primo di un dittico intitolato Il fuoco amico dei ricordi.La storia si svolge a Roma dal luglio 1986 alla fine dell’estate 1987.Ilprotagonista è Leo, stimato professionista oncologo in una clinica dove cura con perizia bambini malati di tumore.Accusato di truffa è sostenuto dalla moglie Rachel e dai figli,ma quando viene anche accusato di stupro nei riguardi della fidanzatina del figlio dodicenne e dopo aver passato alcuni giorni in carcere decide di autoisolarsi nello scantinato della sua casa e precipita nella follia.C'è una prima parte in cui il narratore descrive la vita agiata della Famiglia Pontecorvo e laloro frequentazione con i coniugi Albertazzi, nella seconda parte descrive il periodo di vacanza nel paese svizzero di Anzère durante le vacanze natalizie e lo scambio epistolare fra la fidanzatina Camilla del figlio e Leo, nella terza parte i ricordi di Leo vanno alla sua adolescenza e alla sua amicizia con Herrera che sarà il suo avvocato nel processo che dovrà affrontare nella quarta e ultima parte i ricordi di Leo vanno ad un viaggio fatto con i figli a Londra dove traspaiono dei problemi nei suoi rapporti con i figli.Il narratore , come nel romanzo I promessi sposi mette in luce i personaggi che sotto un'apparenza di felicità si trascinano problemi che affondano nel passato.Leo è un narcisista, pieno di sè eppure non si riesce a vederlo come un personaggio antipatico anzi a me sembra la vittima della situazione.La moglie Rachel, apparentemente sollecita e premurosa non tarderà nel momento più acuto di crisi del marito ad abbandonarlo a se stesso portando in questo atteggiamento anche i figli. Quando Leo si autoescluderà dalla famiglia per loro è come non fosse mai esistito.Una cosa che ho ritenuto agghiacciante.Il libro è scritto in uno stile originale, traspare l'ironia verso un tenore di vita falso e artefatto e alle credenze politiche incongrue. Un libro spiazzante,ma reale sono situazioni che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.Leoèun personaggio in fondo triste ricco di successo professionale,ma incapace di gestire la vita e non solo nella sua famiglia.Un libro che sicuramente non è un capolavoro, ma che merita di essere letto. Consiglio!

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08/01/2017 - Tesesempreastroz
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caro piperno è il suo primo libro che leggo e mi sento un po' fregata. una solo parola è bastata per farmi venire la mosca al naso: è stato quel "continua" a fine pagina. perchè? adesso va di moda lo so, tutti questi libri da ragazzine adolescenziali (che però piacciono pure alle vecchiette adolescenziali come me) ci hanno abituate a quei puntini di sospensione che ci lasciano nel dubbio e ci fanno attendere il prossimo libro. ma in quei libri si parla di streghe, fatine, gnomi e vampiri sono fantasy che si divertono a giocare! quel suo continua invece mi ha proprio deluso, io un libro ad episodi non fantasy e soprattutto italiano non ce lo vedo. ma lei le risposte alle domande che ci siamo fatti non ce le poteva dare qui invece di parlarmi di cose che potevano interessarmi solo di sfuggita?? ok rita è una stronza, fili un bambino chiuso, sami un bambino precoce, rachel una donna con le palle e leo un uomo viziato e un po' cretino. quanto c'ho messo io a scriverlo? un paio di righe lei invece un intero libro. e guarda caso si è scordato i parlarmi di camilla e dei suoi moventi, della lettera mai trovata durante la perquisizione, dell'autore dei disegni...guarda caso... e tutto questo per vendere anche il secondo libro? mi ha fregata, e il seguito lo leggerò appena esce (se nel frattempo non mi sarò scordata questo e quindi cerchi di calcolare bene i tempi oppure venderà una copia in meno) perchè che è successo lo voglio sapere e stavolta spero che non mi parli solo dell'infanzia del padre e della madre di camilla! però la soddisfazione non gliela dò, metto una stella sola. la prossima volta si impegni di più, mi dia risposte, mi faccia piangere, mi commuova oltre che tentare di abbacinarmi solo con la sua cultura: io nel caffè ci voglio anche lo zucchero non mi basta un po' di acqua colorata

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