Ho iniziato questo libro con un po' di perplessità e sia perché chi me l’ha prestato si è premurato di indicarmi la noia quale effetto collaterale della lettura e sia perché mi è capitato di leggere alcune recensioni negative provenienti da alcuni critici letterari. Sapete le frasi tipiche da critici? Quelle che possono adattarsi ad ogni scrittore in ogni tempo, in ogni luogo, con ogni clima? Proprio quelle del tipo: - Piperno ha scritto un libro al di sotto delle aspettative; - Non è riuscito a mantenere l’alto livello del romanzo precedente; - Il romanzo non tiene il lettore incollato alle pagine, - Fuciliamolo. (Questo non lo dicono, ma lo pensano. Lo so). - Torturiamolo. (Idem come sopra) E tali recensioni hanno un peso, in qualche modo, se si considera che al momento dell’uscita del suo primo romanzo "Con le peggiori intenzioni" è stato acclamato come il Roth italiano o, addirittura, è stato paragonato a Proust (ma di questo accostamento, a dire il vero, non ho appurato la veridicità: insomma, se è vero che è stato fatto, non so chi l’abbia fatto). E' entrato nelle grazie di D'Orrico. Insomma, un'eredità forte.... Per farla breve, inizio – bellina, bellina - a leggere e, per un po', ho aspettato che succedesse qualcosa. Ho atteso – sempre bellina, bellina - che si uscisse dalla mente sia del protagonista sia della di lui moglie. Poi, mentre andavo avanti con le pagine ho capito una cosa. L’illuminazione. Tutto era già successo. Sì, nelle prime due righe. Tutto era già successo nell'incipit che, diligentemente, riporto "Era il 13 luglio del 1986 quando un imbarazzante desiderio di non essere mai venuto al mondo s’impossessò di Leo Pontecorvo”. Il resto sono flash back e , soprattutto, una lunga sega mentale. Ma proprio lunga. L'esimio professor Leo Pontecorvo è nella merda. Lui, ebreo romano, ricco, bello, colto, stimato oncologo pediatrico, professore universitario, fedele alla moglie, buon padre. Tutte queste qualità in un'unica persona: non si è risparmiato nulla. Già proprio così. E fu così che cadde dal dorato piedistallo. Troppo in alto ti collocasti, Leo, e troppo dolorosa fu la caduta. Come se non bastasse l’accusa di essere implicato in un affare di tangenti, un bel dì, appare, in tv, la sua immagine. Il giornalista parla di strane letterine. Sembrerebbe che il nostro esimio avrebbe intrattenuto una non sana corrispondenza con la dolce e ingenua Camilletta, fidanzatina del suo secondogenito, Filippo detto Fili. Dopo tale notizia cosa fa il nostro Pontecorvo? Cerca di chiarire con la famigliola che banchetta serenamente? No. Cerca di parlare? No. Si incazza come una belva? No. Ultima possibilità: piange? No. Niente di tutto ciò. Il caro Pontecorvo, con la testa colma di pensieri, si rintana nello scantinato della villa familiare. Per ore, giorni e mesi. E lì, si consuma. Si dilania. E se all'inizio il professore appare un po' antipatico, e a ciò contribuisce l'amore viscerale per il Craxi nostrano e anche per monsieur Mitterand, alla fine il lettore si intenerirà. E’ inevitabile la nascita di un senso di pietà. Una voglia di dire "Oh, Pontecorvo nonostante tu sia un brutto Craxiano del cavolo, nonostante sia pieno di soldi, per favore, ripigliati! Difenditi!" Ma lui sceglie di non farlo. La scrittura di Piperno mi piace, mi appassiona. Egli riesce a scandagliare l’animo dei suoi personaggi con precisione quasi da psicoterapeuta. Ho la fortuna di non aver letto il suo precedente “Con le peggiori intenzioni” e così non posso dire – come i critici – ha deluso le aspettative, visto che non ne avevo. Peccato, da grande non potrò fare la critica. Meglio così mi sono goduta un bel romanzo che, forse, in alcuni tratti è risultato prolisso, ma, nel complesso, buono.