Ordinate in fascicoli legati a mano, o annotate su semplici fogli manoscritti, talvolta recuperate dal testo di una lettera, le 1775 poesie di Emily Dickinson costituiscono uno straordinario canzoniere, un labirinto di emozioni e stati d’animo, interrogativi metafisici ed esatte descrizioni naturali, paesaggi attoniti, fiabe sorprendenti, parabole eterodosse, ai limiti della blasfemia, meditazioni vertiginose sulla morte e l’immortalità, canti d’amore, indovinelli, calembour, mosse ritrose, verità semplicissime o indecifrabili: “È poca cosa il pianto/sono brevi i sospiri:/pure, per fatti di questa misura/uomini e donne muoiono!”. La classica scelta di Margherita Guidacci rende piena giustizia alla varietà di toni e argomenti, e all’ipnotica musica di questi versi, impacciata e raffinatissima a un tempo. Intraducibile come tutti i grandi poeti, ma tradotta e ritradotta in ogni lingua, anche in italiano l’opera di Emily Dickinson supera la “prova scientifica” che lei stessa aveva stabilito: “Se leggo un libro e mi sento gelare in tutto il corpo così che nessun fuoco mi può scaldare, allora so che quella è poesia. Se provo la sensazione che mi scoperchino la testa, allora so che quella è poesia”.