Se questo è un uomo
  • 9788806176556
  • Einaudi
  • 2005

Se questo è un uomo

di Primo Levi

Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò Se questo è un uomo nel 1947. Einaudi lo accolse nel 1958 nei «Saggi» e da allora viene continuamente ristampato ed è stato tradotto in tutto il mondo. Testimonianza sconvolgente sull'inferno dei Lager, libro della dignità e dell'abiezione dell'uomo di fronte allo sterminio di massa, Se questo è un uomo è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un'analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell'umiliazione, dell'offesa, della degradazione dell'uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio. Fonte http://www.einaudi.it/libro/scheda/(isbn)/978880617655/6


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Commenti (8)

07/09/2011 - sofia
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Se questo è un uomo è nato come il desiderio di Primo Levi di raccontare cosa succedeva nei lager nazisti Di questo libro Levi diceva che era "nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi "In un secondo tempo anche per rielaborare dentro di sè quella terribile esperienza narrerà poi ne La tregua l'odissea nei paesi dell'est, un interminabile viaggio in cui anche Levi fu coinvolto dopo la liberazione dal lager.Un libro tremendo in cui il lettore si immedesima nell'esperienza vissuta dall'autore che narra anche con occhi da scienziato la vita nel campo di Auschwitz. Levi infatti era un chimico e fu costretto anche a svolgere queste mansioni . Le sensazioni? L'impotenza di quei poveri esseri maltrattati e privati delle più elementari esigenze, trattati come animali e uccisi prima nell'anima e poi nel corpo e i sopravvissuti? Non riusciranno a lasciare dietro al reticolato la loro sofferenza,ma se la porteranno dentro per sempre....“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no.”.... Credo che questo libro dovremmo anche se è terribile da leggere continuare a riportarlo nella memoria, perchè anche Levi non sia morto invano con la sua angoscia..Se non lo avete mai letto coraggio...fatelo!

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02/10/2011 - val51
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Se questo è un uomo è il romanzo autobiografico di Primo Levi , la testimonianza storica di quanto fu vissuto in prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era nato per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi diquesti eventi. Il racconto e' molto razionale fin troppo, l'autore rimane come un testimone lasciando ai lettori il compito di formarsi un'opinione sui fatti avvenuti. Libro scritto in maniera elegante ha un duplice messaggio uno storico, quello principale, e morale il secondo. Il fatto che l'autore riesca a non disprezzare i propri carnefici evita di banalizzare l'opera, risultando ancora più efficace nel suscitare il giusto ribrezzo verso tali abominevoli avvenimenti da parte dei lettori. Si soffre leggendo le pagine del libro, e rimane senza alcuna risposta la domanda «Com'è stato possibile tutto ciò?» Il dramma e' che la storia puo' ripetersi........ Libro d'obbligo!!!!!!

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18/05/2012 - Michela
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...senza parole... ...terrificante... ...ancora di più se si pensa che questa catastrofe è accaduta nel xx secolo...

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06/09/2012 - Killthemall
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Un libro che deve essere letto, come tutti quelli del suo genere, che parlino di lager tedeschi,di gulag russi,o di qualsiasi tipo di sterminio e atrocità commessa. Libro da leggere e da portare nel cuore come monito di quel che l'uomo può fare. Scritto con freddezza e lucidità è la spaventosa testimonianza dell'esperienza diretta dell'autore sopravvissuto al campo di concentramento, è il grido di dolore, di indignazione e di protesta che l'uomo lancia contro coloro che sono stati capaci di rinnegare ogni umanità che era in loro, calpestando,distruggendo,affamando,torturando e disumanizzando milioni di altri esseri umani.

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03/02/2013 - Rosa Mazzarrino
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Un capolavoro, una lettura necessaria e assolutamente indispensabile: Levi racconta con chiarezza estrema il periodo da lui trascorso ad Auschwitz: l’incertezza del viaggio, la paura di non sapere dove si stava andando, l’arrivo nel campo, la separazione dai parenti e conoscenti che probabilmente non si rivedranno più, lo sconcerto di trovarsi di fonte alla crudeltà dei tedeschi per i quali quella crudeltà rientrava nei propri compiti e doveri quotidiani. La sua analisi spietata del meccanismo, messo in atto dai tedeschi, che mirava alla demolizione dell’uomo: il togliere all’uomo tutto..dalla casa e i cari agli oggetti personali..alle abitudini quotidiane..fino persino al nome sostituito dal numero tatuato sul braccio..tutto finalizzato a trasformare l’altro in un uomo vuoto, senza alcuna dignità e senza alcuna prospettiva del futuro perché quello a cui, in queste condizioni, si può pensare è solo il futuro prossimo ..quello che importa è se oggi si riuscirà a mangiare..se domani farà tamto freddo. In queste condizioni per sopravvivere ci si rende conto che è inutile sognare e continuare a pensare a quello che si era e si aveva perché il risveglio sarebbe ancora più doloroso. Per sopravvivere è necessario sforzarsi di conservare le più elementari norme di civiltà: per cui anche se poteva sembrare inutile, nel lager c’era chi continuava a lavarsi, anche senza sapone con l’acqua sporca, per poi andare a lavorare nel carbone e tornare più sporco di prima ma era una cosa che si doveva fare per se stesso..per conservare almeno "l’impalcatura della civiltà". E c’era chi, per sopravvivere, arrivava a collaborare con il carnefice, diventando a volte anche più spietato e dall’altronde personaggi del genere erano indispensabili ai tedeschi per riuscire a controllare il vasto campo di concentramento. Non c’è alcuna speranza di salvezza perchè in quest'inferno si è coscienti del fatto che il carnefice non può lasciare sopravvivere la prova della sua malvagità. È una descrizione fredda e glaciale, che forse non vuole suscitare pietà ma vuole che chiunque legga diventi cosciente dell’assurdità di questo periodo storico, consapevole della crudeltà e della ferocia cui un uomo può arrivare per distruggere e annientare un suo simile, e allo stesso tempo lanciare qua e là nelle pagine un lampo di fiducia. Un qualche segnale del fatto che anche nel peggiore degli inferni, in un modo o nell’altro, un uomo può trovare la forza di sopravvivere, portandosi ovviamente dietro un bagaglio di memoria e di dolore che non può essere ignorato, per quanto doloroso.

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19/08/2013 - Gino
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Se questo è un uomo è un romanzo testimonianza di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. Rappresenta la coinvolgente ma riflettuta testimonianza di quanto fu vissuto in prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Levi sopravvisse infatti alla deportazione nel campo di Monowitz. Per parlare di questo libro riporto uno stesso stralcio di testo che Levi inserì nell’edizione del ’76. Per l’edizione scolastica di Se questo è un uomo (Einaudi, Torino 1976), Primo Levi condensò in otto domande-risposte essenziali il risultato dei suoi molteplici incontri con le scolaresche. «Come si spiega l’odio fanatico dei nazisti contro gli ebrei?» Riassumendo, si può dunque affermare che l’antisemitismo è un caso particolare dell’intolleranza; che per secoli ha avuto carattere prevalentemente religioso; che, nel III Reich, esso è stato esacerbato dalla predisposizione nazionalistica e militaristica del popolo tedesco, e dalla peculiare «diversità» del popolo ebreo; che esso fu facilmente disseminato in tutta la Germania, e in buona parte dell’Europa, grazie all’efficienza della propaganda fascista e nazista, a cui occorreva un capro espiatorio su cui convogliate tutte le colpe e tutti i risentimenti; e che il fenomeno fu condotto al parossismo da Hitler, dittatore maniaco. Tuttavia devo ammettere che queste spiegazioni, che sono quelle comunemente accettate, non mi soddisfano: sono diminutive, non commisurate, non proporzionali ai fatti da spiegare. Nel rileggere le cronache del nazismo, dai. suoi torbidi inizi alla sua fine convulsa, non riesco a sottrarmi all’impressione di una grande atmosfera di follia incontrollata che mi pare unica nella storia. Questa follia collettiva, questo sbandamento, viene di solito spiegato postulando la combinazione di molti fattori diversi, insufficienti se presi singolarmente, e il maggiore di questi fattori sarebbe la personalità stessa di Hitler, e la sua profonda interazione col popolo tedesco. E certo che le sue personali ossessioni, la sua capacità d’odio, la sua predicazione di violenza, trovavano sfrenata risonanza nella frustrazione del popolo tedesco, e da questo ritornavano a lui moltiplicate, confermandolo nella sua convinzione delirante di essere lui stesso l’Eroe profetizzato da Nietzsche, il Superuomo redentore della Germania. Sull’origine del suo odio contro gli ebrei si è scritto molto. Si è detto che Hitler riversava sugli ebrei il suo odio contro l’intero genere umano; che riconosceva negli ebrei alcuni suoi stessi difetti, e che odiando gli ebrei odiava se stesso; che la violenza della sua avversione proveniva dal timore di poter avere «sangue ebreo» nelle vene. Ancora una volta: non mi sembrano spiegazioni adeguate. Non mi sembra lecito spiegare un fenomeno storico riversando tutta la colpa su un individuo (gli esecutori di ordini orrendi non sono innocenti!), ed inoltre è sempre arduo interpretare le motivazioni profonde di un individuo. Le ipotesi che vengono proposte giustificano i fatti solo in misura parziale, ne spiegano la qualità ma non la quantità. Devo ammettere che preferisco l’umiltà con cui alcuni storici fra i più seri (Bullock, Schramm, Bracher) confessano di non comprendere l’antisemitismo furibondo di Hitler e della Germania dietro di lui. Forse, quanto è avvenuto non si può comprendere, anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare. Mi spiego: «comprendere» un proponimento o un comportamento umano significa (anche etimologicamente) contenerlo, contenerne l’autore, mettersi al suo posto, identificarsi con lui. Ora, nessun uomo normale potrà mai identificarsi con Hitler, Himmler, Goebbels, Eichmann e infiniti altri. Questo ci sgomenta, ed insieme ci porta sollievo: perché forse è desiderabile che le loro parole (ed anche, purtroppo, le loro opere) non ci riescano più comprensibili. Sono parole ed opere non umane, anzi, contro-umane, senza precedenti storici, a stento paragonabili alle vicende più crudeli della lotta biologica per l’esistenza. A questa lotta può essere ricondotta la guerra: ma Auschwitz non ha nulla a che vedere con la guerra, non ne è un episodio, non ne è una forma estrema. La guerra è un terribile fatto di sempre: è deprecabile ma è in noi, ha una sua razionalità, la «comprendiamo». Ma nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre. Per questo, meditare su quanto è avvenuto è un dovere di tutti. Tutti devono sapere, o ricordare, che Hitler e Mussolini, quando parlavano pubblicamente, venivano creduti, applauditi, ammirati, adorati come dèi. Erano «capi carismatici», possedevano un segreto potere di seduzione che non procedeva dalla credibilità o dalla giustezza delle cose che dicevano, ma dal modo suggestivo con cui le dicevano, dalla loro eloquenza, dalla loro arte istrionica, forse istintiva, forse pazientemente esercitata e appresa. Le idee che proclamavano non erano sempre le stesse, e in generale erano aberranti, o sciocche, o crudeli; eppure vennero osannati, e seguiti fino alla loro morte da milioni di fedeli. Bisogna ricordare che questi fedeli, e fra questi anche i diligenti esecutori di ordini disumani, non erano aguzzini nati, non erano (salve poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque. I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e ad obbedire senza discutere, come Eichmann, come Höss, comandante di Auschwitz, come Stangí, comandante di Treblinka, come i militari francesi di vent’anni dopo, massacratori in Algeria, come i militari americani di trent’anni dopo, massacratori in Vietnam. Occorre dunque essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. E meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate. È chiaro che questa ricetta è troppo semplice per bastare in tutti i casi: un nuovo fascismo, col suo strascico di intolleranza, di sopraffazione e di servitù, può nascere fuori del nostro paese ed esservi importato, magari in punta di piedi e facendosi chiamare con altri nomi; oppure può scatenarsi dall’interno con una violenza tale da sbaragliare tutti i ripari. Allora i consigli di saggezza non servono più, e bisogna trovare la forza di resistere: anche in questo, la memoria di quanto è avvenuto nel cuore dell’Europa, e non molto tempo addietro, può essere di sostegno e di ammonimento. Un capolavoro assoluto, sento di aver colmato ora una grande mancanza. Se questo è un uomo Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi.

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14/07/2014 - simona72
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fa male per quanto è crudo.. incredibile pensare quanto possano essere crudeli le persone

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09/02/2016 - Acrasia
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Provo un certo timore reverenziale nei confronti di questo libro e di questo uomo che ha saputo raccontare anche con una certa freddezza quanto capitato a lui e a tantissimi altri nel campo di concentramento. A chi dice che non è necessario ricordare perché non si può restare legati al passato (sì, mi sono sentita dire anche questo) rispondo che evidentemente qualcuno ha già dimenticato o addirittura nega quanto sia successo, visti gli orrori che continuano ad essere perpetrati, e insisto nel sostenere che è importante non solo ricordare ma continuare a commemorare le atrocità che moltissime persone hanno subito. E questo libro ne è forte testimonianza.

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