Foglie d'erba, recensito da Gino

Foglie d'erba è il titolo della più conosciuta raccolta di poesie del poeta e scrittore statunitense Walt Whitman. Fu pubblicata nel 1855, in occasione del giorno dell'Indipendenza: quasi un segno propiziatorio per un'opera destinata ad essere considerata come la Bibbia democratica americana. E questo sebbene il testo della raccolta apparisse - almeno all'uscita, e in minore misura nelle successive edizioni - quanto meno insolito rispetto alla tradizione, composto com'era da una lunga serie di versetti, non divisi in strofe, senza pause o titoli. Più di dieci edizioni del libro, un resoconto esistenziale per me è “Foglie d’erba”, un circumnavigare intorno a sé stessi, al mondo, al popolo che è privo di una sessualità che demarca. Non ho molto apprezzato la forma, cioè l’assenza di spaziatura tra i versi, l’assenza completa o quasi dei titoli, rendono la lettura più confusionaria. Un poema che oltre a parlare del mondo, parla soprattutto della sua Terra, e di eventi che hanno scosso fortemente l’autore: la Guerra di Secessione, l’assassinio al Presidente Lincoln etc. Un testo di non facile lettura, che richiede forse delle pause; una voce esce tra le pagine, se sembra abbracciare ogni essere vivente ed esortarlo alla bellezza del mondo, alla sua immensità, alla gioia della vita . La stessa bellezza di cui si faranno portavoci grandi scrittori ormai assuefatti e colpiti dalla rivoluzione Whitmaniana. Tra i tanti componimenti quelli che ho apprezzato di più sono: “[…] Non può fallire il giovane che morì e fu sepolto, Non la ragazza che morì e gli fu messa accanto, Non il bambino che si affacciò alla porta, e si ritrasse e non fu mai più visto, Non il vecchio vissuto senza scopo, e ne prova amarezza peggiore del fiele, Non quell'altro all'ospizio dei poveri, tubercoloso dal rum e dai disordini, Non gli infiniti massacrati e naufraghi, né il bestiale Kobu detto lo sterco dell'umanità, Non i sacchi fluttuanti a bocca aperta perché vi scivoli il cibo, Né cosa alcuna in terra o sotto, nelle più antiche tombe della terra, Né alcuna cosa nelle miriadi di sfere, né le miriadi di miriadi che le abitano, Né il presente, né il più piccolo frammento conosciuto […]”. “[…] Volate, uccelli marini! volate di sghembo, o ruotate alti nell'aria in ampi cerchi; Acque, accogliete il cielo estivo, e fedelmente serbatelo finché ogni occhio abbassandosi abbia il tempo di coglierlo da voi! Divergete, bei raggi di luce, dalla forma della mia e di qualunque altra testa riflessa nell'acqua illuminata dal sole! Arrivate, navi, dalla baia di sotto! passate, bianche vele di golette, su e giù passate, alleggi e scialuppe! Sventolate, bandiere d'ogni nazione! e puntuali ammainatevi al tramonto! Suscitate alte fiamme, ciminiere delle fonderie, gettate ombre nere al calar della notte! luci gialle e vermiglie sopra le cime delle case! Apparenze, ora e per l'avvenire, indicate ciò che siete, Tu, velo necessario, continua ad avvolgere l'anima, Intorno al mio corpo per me, e al vostro per voi, si effonda la nostra divina fragranza, Prosperate, città - fiumi vasti e adeguati portino i vostri carichi di merci, rechino i vostri spettacoli, Espanditi, essere, di cui niente altro è più spirituale, Conservate il vostro posto, oggetti dei quali niente è più duraturo. Avete aspettato-voi sempre aspettate - ministri muti e belli, E con liberi sensi vi accogliamo, e d'ora in poi saremo insaziabili, Né voi potrete evitarci, o nascondervi a noi, Vi useremo, non vi terremo da parte, vi trapiantiamo saldamente in noi, Non vi misureremo fino in fondo - vi amiamo - anche in voi è perfezione, Fate la vostra parte verso l'eternità, Piccola o grande che sia, fate la vostra parte verso l'anima”. Infine quest’ultima, decantata anche ne “L’attimo fuggente”. O Capitano! mio Capitano! “O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è finito, La nave ha superato ogni tempesta, l'ambìto premio è vinto, Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante, Gli occhi seguono la solida chiglia, l'audace e altero vascello; Ma o cuore!! cuore! O rosse gocce sanguinanti sul ponte Dove è disteso il mio Capitano Caduto morto, freddato. O Capitano! mio Capitano! àlzati e ascolta le campane; àlzati, Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla, Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti, Qua Capitano! padre amato! Questo braccio sotto il tuo capo! È un puro sogno che sul ponte Cadesti morto, freddato. Ma non risponde il mio Capitano, immobili e bianche le sue labbra, Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere; La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito, Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave; Rive esultate, e voi squillate, campane! Io con passo angosciato cammino sul ponte Dove è disteso il mio Capitano Caduto morto, freddato”.

Ricordati che questa è l'opinione di un lettore e non rappresenta una recensione ufficiale del libro.

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