Irene Nemirovsky era figlia di un ricco e potente banchiere ebreo russo rifugiatosi in Francia con la famiglia all’ inizio della Rivoluzione d’Ottobre del 1917; morì ad Auschwitz nel 1942, a soli 39 anni, lasciando il marito che morì anche lui in un campo, poco dopo, e le due figlie bambine, salvate tra molte peripezie. Romanzo che doveva essere diviso in cinque parti, delle quali soltanto due videro la luce quali “Temporale di giugno”che narra l’alternarsi di numerose storie di vita e tema diversi, per arrivare a “Dolce” dal tono più pacato e che si contraddistingue per gli arguti paralleli che la Nemirovski ama fare. In “Temporale di giugno” siamo a Parigi, alla vigilia dell’occupazione tedesca dove masse di persone si riversano in strada in cerca di posti più sicuri. Ci si imbatte nella famiglia Pèricand, composta da genitori, cinque figli e un nonno, di classe agiata e di mentalità ottusa, che le reca una superiorità solo per il puro stato censitario e per i numerosi parti che ha dovuto affrontare. La signora Pèricand mostra un perbenismo di facciata che si è evince in numerosi episodi come quello di curare la tonsillite alla sua cameriera con gargarismi svegliandola in piena notte. Nel corso della lettura si incontrano altre figure come: Gabriel Corte, scrittore ed esteta, interessato solo ai suoi oggetti e alla sua amante; Charles Langelet, solitario e amante del bello, avezzo alle sue opere che antepone alla crudezza delle vite umane; I coniugi Michaud, modesti impiegati di banca e simbolo della gente comune e onesta. In “Dolce”, siamo in una paesino della Francia, appena occupata dai nazisti sintomo di odio. La Nemirovski pone la lente d’ingrandimento su una storia d’amore, tra Lucile creatura priva di ogni sfumatura, e il soldato Gaston Angellier prigioniero in Germania. Il matrimonio combinato, però non riprende vigore neanche con l’arrivo dei figli, e Lucile sembra provare interesse verso un ufficiale tedesco con cui condividerà passioni, seppur resterà sempre un rapporto spirituale. Il tema su cui gioca molto la Nemirovki è la voglia di riniziare, ricontrarsi, riprendersi, l’amore che esalta anche in una status quo dove bombe, attacchi nemiche e occupazioni sbarrano la strada a previe affettuosità, lei sradicata dai suoi cari e mandata nei campi di concentramento, stessa sorte che poco dopo toccherà anche al marito. Personaggio che ho odiato è la viscontessa Montmort, moglie del sindaco, donna giovane, ma brutta e frustata sessualmente prova un odio versa tutta l’umanità mostrando superiorità e disprezzo. La Nemirovski voleva dipingere un affresco sociale degno di “Guerra e pace”di Tolstoj, riesce a far sentire il lettore presente nella narrazione, è il primo libro che leggo di questa autrice e sicuramente non l’ultimo, ma che comunque sarà per il tema, forte e crudo, sarà perché non era il momento giusto per leggerlo, non me l’ha fatto apprezzare a pieno, anche se penso che nella sua tragicità tocca vette di puro lirismo contrapponendo, gioie, forze e dolori di gente che ha dato anima e cuore per una guerra che è pura vigliaccheria. "Te l'ho sempre detto, non dai abbastanza peso alle comparse. Un romanzo deve somigliare a un viale pieno di sconosciuti, in cui passano solo due o tre creature che conosciamo a fondo, non di più. Prendi certi scrittori, come Proust: hanno saputo utilizzare le comparse. Se ne servono per umiliare, per sminuire i personaggi principali. Niente di più salutare, in un romanzo, di questa lezione di umiltà inflitta ai protagonisti. Pensa, in Guerra e Pace, alle contadinelle che attraversano la strada davanti alla carrozza del principe André ridendo e la prima immagine che ne hanno è quella di lui che parla con loro, alle loro orecchie; nello stesso tempo la visione del lettore si allarga, non c'è più un singolo volto, una singola anima. Si scopre la molteplicità delle forme. [...]" “Povero mondo, così bello e così assurdo. Ma quel che è certo è che fra cinque, dieci o vent'anni questo problema, che secondo lui è il problema del nostro tempo, non esisterà più, sarà sostituito da altri. Mentre questa musica, questo rumore della pioggia sui vetri, questo lugubre scricchiolio del cedro nel giardino di fronte, questo momento così dolce, così strano in mezzo alla guerra, questo non muterà, è eterno.” “Non ci riguarda, non è colpa nostra. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna esiste una sorta di Eden dove non ci sono né morte né guerre, dove bestie feroci e cerbiatti giocano pacificamente insieme. Dobbiamo solo ritrovare quel Paradiso, chiudere gli occhi davanti a tutto il resto. Siamo un uomo e una donna. E ci amiamo. Dicevano a se stessi che la ragione e persino il cuore potevano renderli nemici, ma c'era un'intesa dei sensi che niente avrebbe potuto spezzare - la muta complicità che lega con pari desiderio l'uomo innamorato e la donna consenziente.” “È risaputo che l'essere umano è complesso, molteplice, diviso, misterioso, ma ci vogliono le guerre o i grandi rivolgimenti per constatarlo. È lo spettacolo più appassionante e più terribile, pensò ancora; il più terribile perché è il più vero: non ci si può illudere di conoscere il mare senza averlo visto nella tempesta come nella bonaccia. Solo chi ha osservato gli uomini e le donne in un periodo come questo può dire di conoscerli - e di conoscere se stesso.”