Il mestiere di dimenticarti, un viaggio dentro ciò che manca. Davide Uria attraversa assenze, fratture, silenzi con la precisione di un chirurgo e la sensibilità di chi custodisce reliquie affettive. Non cerca di spiegare, né di consolare: accompagna. E lo fa con una scrittura densa, misurata, quasi clinica, che prova a dare forma a ciò che non si vede, ma continua a premere da dentro. Diviso in sezioni come le tappe di un atlante emotivo – dall’“Architettura emotiva” alla “Chirurgia della fine” – il libro esplora i territori fragili dei sentimenti disattesi, delle relazioni mai nate, delle parole rimaste sospese. Ogni poesia è una geometria del vuoto, una mappa tracciata sui margini, tra ciò che si sarebbe potuto dire e ciò che non è mai accaduto. Uria usa il linguaggio della scienza – biologia, geologia, meccanica – per restituire ordine al disordine interiore. L’amore, in queste pagine, non è un’esperienza compiuta ma una possibilità interrotta: ciò che resta, quando nulla si realizza davvero.