Esercizi di stile
  • 9788806193126
  • Einaudi (ET Scrittori)
  • 2005-01-01

Esercizi di stile

di Raymond Queneau

Un episodio di vita quotidiana, di sconcertante banalità, e novantanove variazioni sul tema, in cui la storia viene ridetta mettendo alla prova tutte le figure retoriche, i diversi generi letterari (dall'epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese), giocando con sostituzioni lessicali, frantumando la sintassi, permutando l'ordine delle lettere alfabetiche. Eco, nella prefazione, dichiara che per anni è stato tentato di tradurre questi racconti, perché erano ritenuti intraducibili, legati come sono al "genio" specifico della lingua francese. E infine la decisione: non si trattava di tradurre, ma di capire le regole del gioco che Queneau si era poste, e quindi giocare la stessa partita con un'altra lingua. Testo originale a fronte.


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Commenti (2)

15/03/2013 - Gino
utente
Quanto un episodio comune può prendere vita e mutare la sua forma in molteplici modi? Ecco Queneau è un genio, e ci presenta lo stesso episodio per ben 99 variazioni. Pubblicato per la prima volta nel 1947 “Esercizi di stile” nel loro genere solo un capolavoro, sicuramente di non facile traduzione per le diverse lingue che hanno visto numerosi adattamenti; Raymond usa molte figure retoriche per presentare l’episodio sotto diverse angolazioni, ma non solo, usa anche parodie di generi letterari e di comportamenti linguistici quotidiani, e ancora figure di pensiero, del discorso, tropi. Per esemplificare e comprendere meglio si va da Litoti a Sorprese, da Pronostici a Sinchisi, da Esitazioni a Precisazioni, da Parole composte a Animismo, da Anagrammi a Distinguo, da Omoteleuti a Onomatopee, da Passato prossimo a Presente, da Imperfetto a Passato remoto, da Apocopi a Sincopi, dal Sonetto all’Ode, dal Telegrafico al Reazionario e così via….Per mostrare la versatilità con cui l’autore affronta i giochi di parole ne scriverò qualcuno: Distinguo: «Un bel dí sul torpedone (non la torre col pedone) sc orsi (ma non preteriti) un tipo (non un carattere a stampa) ovvero un giovinotto (che non era un sette da poco cresciuto), munito (sí, ma non scimunito) di un cappello incoronato (non incornato) da un gallone (non di birra), e con un lunghissimo collo (non postale). Costui si mette ad apostrofare (ma non a virgolettare) un passeggero (a cui però non vende almanacchi) e lo accusa (anche se non è un dolore) di pestargli i piedi (non del verso) ad ogni fermata (che non è una ragazza caduta in una retata). Poi la smette di protestare (ma le cambiali non c’entrano) e si lancia (non motovedetta) su di un posto libero (che non è in alternativa al posto stopper). Due ore dopo lo ritrovo (non nel senso di club) alla stazione Saint-Lazare (che non è un luogo per appes tati), dove un tale (che non è un racconto inglese) gli dà il consiglio (non d’amministrazione) di soprelevare (senza bisogno di permessi edilizi) un bottone (ma non nel senso di un enorme contenitore di frassino per liquidi fermentati).» Lettera ufficiale: “Ho l’onore di informare la S.V. dei fatti sotto esposti di cui ho potuto essere testimone tanto imparziale quanto orripilato. In questa stessa giornata, verso mezzogiorno, mi trovavo sulla piattaforma di un autobus che andava da rue de Courcelles verso place Champerret. Detto autobus era pieno, anzi piú che pieno, oso dire, perché il bigliettario aveva accolto un sovraccarico di numerosi postulanti, senza valide ragioni e mosso da una eccessiva bontà d’animo che lo portava oltre i limiti imposti dal regolamento e che pertanto rasentava il favoritismo. A ogni fermata il movimento bidirezionale dei passeggeri in salita e in discesa non mancava di provocare una certa ressa tale da incitare uno di detti passeggeri a protestare, anche se con qualche timidezza. Devo riconoscere che detto passeggero andava a sedersi non appena rilevatane la possibilità. Mi si consenta di aggiungere al mio breve esposto un particolare degno di qualche rilievo: ho avuto l’occasione di riconoscere il sopra menzionato passeggero qualche tempo dopo in compagnia di un personaggio non meglio identificato. La conversazione intrapresa dai due con animazione sembrava vertere su questioni di natura estetica. In considerazione di quanto sopra descritto prego la S.V. di voler cortesemente indicarmi le conseguenze che debbo trarre dai fatti elencati e l’atteggiamento che Ella riterrà opportuno che io assuma per quanto concerne la mia successiva condotta. Nell’attesa di un cortese riscontro assicuro alla S.V. i sensi della mia profonda considerazione e mi dico con osservanza... ecc.ecc.” Esclamazioni: “Perbacco! Mezzogiorno! Ora di prendere l’autobus! quanta gente! quanta gente! che ressa! roba da matti queí tipi! e che crapa! e che collo! settantacinque centimetri! almeno! e il cordone! il cordone! mai visto cosí! il cordone! bestiale! ciumbia! il cordone! intorno al cappello! Un cordone! roba da matti! da matti ti dico! e guarda come baccaglia! sí, il tipo cordonato! contro un vicino! cosa non gli dice! L’altro! gli avrebbe pestato i piedi! Qui finisce a cazzotti! sicuro! ah, no! ah, sí, sì! forza! dai! mena! staccagli il naso! dai di sinistro! cacchio! ma no! si sgonfia! ma guarda! con quel collo! con quel cordone! Va a buttarsi su un posto vuoto! ma sicur o! che tipo ! Ma no! giuro! no! non mi sbaglio! è proprio lui! laggiú! alla Cour de Rome! davanti alla Gare Saint -Lazare! che se ne va a spasso in lungo e in largo! con un altro tipo! e cosa gli racconta l’altro! che dovrebbe aggiungere un bottone! ma sí! un bottone al soprabito! Al suo soprabito!” Maldestro: “Perché cazzo, scusate compagni, io non sono abituato a intervenire in situazioni politiche di un certo tipo. Cioè, cazzo, a me non mi hanno fatto studiare perché cazzo la scuola, cioè, è solo dei ricchi. lo vorrei dare una testimonianza di classe di quel che ho visto ieri sull’autobus (non sulle mercedes dei signori) ma mi si intrec ciano le dita voglio dire, la lingua... no la lingua non si può intrecciare ma anche l’anatomia la possono studiare solo quelli che poi diventano dottori e fanno lo scandalo dei posti letto nelle cliniche. Ecco, cosí poi sono io a fare la figura dello stronzo. Mi sono già confuso. Dov’ero? Cioè. Dunque volevo testimoniare quella cosa, anche se non la so scrivere, io non so dire quelle parole come palingenesi e metempsicazzo come si chiama, io scrivo poesie ma dicono che è letteratura selvaggia certo, siamo degli emarginati solo perché ci buchiamo un po’, mentre le amanti dei signori che sniffano la coca quello va bene e non ci dànno il foglio di via insomma io mando sempre il manoscritto a quelli della casa editrice e loro rispondono che sono dolenti e hanno i programmi completi a tutto il 1986, cosa cazzo ci mettono di qui al 1986, ma è chiaro che se non sei raccomandato sei fottuto. Merda, cioè, cazzo compagni, mi sono perduto di nuovo, ma sono due giorni che non mangio e tre notti che non dormo e poisono un po’ fumato. Ma avete capito. O no? Allora, partiamo a monte ecco, mi sono già fregato perché poi sui vostri giornali scrivete che diciamo solo frasi di un certo tipo, ma praticamente non era a monte ma in pianura perché era un autobus. Buona questa, vedete che anch’io so essere spiritoso anche se non scrivo sul Corriere. Va bene, prendiamo il toro per le corna, o meglio quel tizio per il cappello (ah ah!), dico quel tipo col collo lungo quale tipo? ma quello sull’autobus, l’ho detto prima, non fate finta che non capite per mettermi in inferiorità. Va bene, sono un po’ suonato ma cosa deve fare un proletario che dorme solo in sacco a pelo e la police gli ha rotto la chitarra? E poi bisogna cominciare (o no?) e allora lasciatemi cominciare, cazzo,non fate casino se no mi confondo di nuovo. E non ridere tu, scemo.Allora, dunque, il tipo sulla piattaforma si è messo a gridare un casino perché l’altro gli faceva casino dico i piedi, cazzo compagni non fate casino, ho diritto anch’io, no? Dov’ero? Ecco, lui si va a sedere per i cazzi suoi, sta zitto tu cretino, lascia finire, si va a sedere sull’autobus, no? Certo che c’era già, sull’autobus voglio dire, ma va dentro... Dentro, scemo, va dalla piattaforma che è fuori... che piattaforma del cazzo è se non è fuori dell’autobus, fuori rispetto... nella misura in cui... no, nella misura che non è dentro. Dell’autobus. Va bene, va bene, certo che se fissate gli interventi di cinque minuti, uno che non ha studiato... Ma c’era ancora una parte, anzi il meglio della storia... Socialmente... Okey, okey. Vado.” Paragoge: “Unc giornok versoc mezzogiornok soprac lak piattaform ak posterioreg: di ung autobusb dellac lineak SP vidig ung giovanek dal collok troppok lungog chek portavak ung cappelloc circondatog da unag cordicellam intrecciatam. Egli tostoz apostrofoz il suos vicinos pretendendoz che costuiz facevaz appostaz a pestr agliz i piedís ad ognim fermatam. Poiix rapidamentei abbandonoi lai discussionei per gettarsii sui dii uni postoi liberoi. Loa rividia qualchea orae piua tardii alla stazionei Santi-Lazarei ini grani conversazionei coni uni compagnoi che glie suggerivai di i fari risalirei uni pocoi il bottonea deli suoi soprabitoiiiiiiiiiiiiiiiiiiii.” Ingiurioso: “Dopo un’attesa repellente sotto un sole ignobile, sono finito su di un autobus immondo infestato da una banda di animali puzzolenti. Il piú puzzone tra questi puteolenti era un foruncoloso dal collo di pollastro che metteva in mostra una coppola grottesca con uno spago al posto del nastro. Questo pavone si inette a ragliare perché un puzzone del suo stampo gli pesticchiava gli zoccoli con furore senile. Ma si è sgonfiato presto ed è andato a defecarsi su di un posto ancora sbagnazzato del sudore delle natiche di un altro puzzone. Due ore dopo, quando si dice la scalogna, mi imbatto ancora nello stesso puzzolente puzzone che sta ad abbaiare con un puzzone piú puzzone di lui, davanti a quel monumento ributtante che chiamano Gare Saint-Lazare. E tutti e due i puzzoni si sgocciolavan saliva addosso a proposito di un merdosissimo bottone. Ma che quel suo foruncolo salisse o scendesse su quella mondezza di cappotto, puzzone era e puzzone rimaneva.”

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25/05/2023 - les75
utente
A partire dallo storico e poliedrico lavoro di Queneau, la versione italiana a cura di Umberto Eco è l'ennesima riprova di uno dei nostri più grandi letterati contemporanei. Qui Eco non solo traduce i 99 modi di raccontare un aneddoto di per sé banale, ma li traspone nella nostra lingua, con tutti gli adattamenti del caso. È come se il testo fosse stato scritto da un italiano, certo un italiano con le doti e la cultura di Eco, che, come annuncia nell'introduzione, cerca di mantenersi il più fedele possibile al testo francese originale, evitando di forzare la mano nell'impulso di inventare nuovi modi di raccontare quella storiella.

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