Chocolat)
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Chocolat, recensito da Lein

Siamo a Lansquenet-sous-Tannes, un villaggio al centro della Francia, dove la vita scorre placida. Un po’ troppo placida: sono rimasti soprattutto gli anziani – contadini e artigiani – mentre i giovani sono partiti verso la città. È una comunità chiusa, dominata con rude benevolenza dal giovane curato Francis Reynaud. È martedì grasso – una tradizione pagana avversata dalla Chiesa – quando nel villaggio arrivano Vianne Rocher e la sua giovane figlia Anouk. La donna è assai simpatica e originale, sexy e misteriosa, forse è l’emissaria di potenze superiori (o magari inferiori). Vianne rileva una vecchia pasticceria, ribattezzata La Celeste Praline, che ben presto diviene – agli occhi del curato – un elemento di disordine. Anche perché Vianne non frequenta la chiesa e inizia ad aiutare chi si trova in difficoltà: il solitario maestro in pensione Guillaume, l’adolescente ribelle Jeannot, la cleptomane Joséphine, l’eccentrica Armande. Ben presto il tranquillo villaggio diventa più disordinato, ribelle e soprattutto felice. E lo scontro tra Benpensanti e Golosi, tra le delizie offerte da Vianne e quelle celesti promesse da padre Reynaud, tra Carnevale e Quaresima, diventa inevitabile. Chocolat è un romanzo pieno di vita, frizzante e divertente; ricco di personaggi indimenticabili e ricette paradisiache. Vianne Rocher è una protagonista di travolgente simpatia: una donna che sa gustare i piacere dell’esistenza, e che soprattutto sa farli apprezzare agli altri” *** Di Joanne Harris avevo già letto tempo fa sia Il seme del male che Le parole segrete ed entrambi mi erano piaciuti molto: avevo apprezzato le trame, ma soprattutto lo stile utilizzato dall’autrice. Tuttavia, nonostante Chocolat fosse sulla mia mensola da un bel po’ di tempo, sono stata restia ad approcciarmi a questo suo romanzo d’esordio, forse per il genere che è distante dai miei personali gusti o forse perché avevo talmente sentito parlare del film (che non ho visto!) da temere una delusione (sono strana, lo so: più si parla in bene di un libro/film più io ho la paura di trovarmi di fronte ad una schifezza colossale). Alla fine mi sono decisa ad inserirlo nel mio Project Book e così eccomi qui. Devo essere sincera: io non ho letto questo libro. L’ho divorato. Lo stile di scrittura della Harris, come già mi era capitato con i suoi due altri libri, mi ha letteralmente catturato e le pagine sono volate tra le mie dita. Ma oltre a questo c’è dell’altro. Si tratta di un romanzo estremamente cupo ed anticlericale, dove si alternano capitoli narrati dalla protagonista Vianne e altri raccontati dal punto di vista del Curato il quale ne esce, a tutti gli effetti, come un personaggio meschino, povero nelle sue ferree convinzioni di salvezza divina e – in definitiva – malvagio (tanto che negli ultimi capitoli lui stesso definirà la parte più oscura di sé come quella di un porco). Anche il suo passato non è limpido e cristallino, ma anzi, i numerosi flash-back che lo stesso Francis rievoca al capezzale del parroco precedente ci fanno scoprire alcuni crimini di cui si era macchiato in gioventù. E Vianne? Vianne è una donna tenace, caparbia e ostinata. Una donna che sa che – dopo aver passato i propri anni di gioventù a spostarsi da una città all’altra d’Europa con la madre malata di cancro – può provare a rimanere in un posto, per il bene di sua figlia, ma anche per il suo (essendo lei ben consapevole di poter fare molto per gli altri). La sua vita è fatta di piccole cose, di magie e leggende sussurrate all’orecchio, di passione per la cucina e, soprattutto, per il cioccolato: è con quest’ultimo che cercherà di portare un soffio di serenità – e perché no – di vita in quel piccolo paesino che è Lansquenet. Io, dal canto mio, sono stata felice di trovarmi di fronte ad un personaggio femminile assolutamente ben riuscito e caratterizzato nei minimi dettagli, e non la solita Mary Sue che oramai si incontra tanto facilmente in ogni romanzo. Quello che mi è piaciuto di Vianne è soprattutto la sua fragilità e il suo terrore per quello che è l’Uomo Nero, così come viene chiamato in tutto il romanzo, e che altri non è che il sacerdote della Chiesa Cattolica (non necessariamente Francis Reynaud, ma tutti i preti). Una paura che, nel suo risvolto positivo, la porterà ad affrontare a testa alta il suo nemico, ovvero colui che la giudica una tentazione da eliminare per salvare il gregge, la comunità. Anche il caleidoscopio di personaggi che si muovono attorno ai due protagonisti è estremamente affascinante e ce n’è per tutti i gusti. Il maestro di scuola con il cane malato da cui non riesce a separarsi (nemmeno di fronte all’evidenza della malattia) perché suo unico compagno di vita per ben diciotto anni, Joséphine maltrattata dal marito e cleptomane, incapace di alzare la testa e sempre ripiegata – anche fisicamente – su di sé. E ancora: l’anziana Armande, ribelle, sognatrice e ancora bambina che esige di decidere da sé per la sua vita (fino ad arrivare addirittura a voler decidere lei stessa quando morire), la figlia Caro e il nipote Luc legati da un rapporto di amore-odio (soprattutto la figlia) all’anziana donna. Per non parlare degli uomini del fiume, gitani arrivati in cerca di una sistemazione temporanea e che scateneranno ancora di più le ire del Curato Reynaud e dei benpensanti del piccolo villaggio. In particolare tra loro ricordiamo il capo Roux, enigmatico personaggio che porterà – anche lui – una ventata di novità tra le stradine di Lansquenet e che diventerà amico/amante (seppure per una notte sola) di Vianne. Per chi come me abita in un piccolo paesino di provincia è facile ritrovare se stessi in questo libro, potendo infatti ben comprendere le dinamiche che vi sono descritte: i paesani che sanno tutto di tutti, il potere della chiesa e della figura del parroco, la paura di fronte a tutto quello che è nuovo e che potrebbe in qualche modo sconvolgere le tradizioni, l’ordine naturale delle cose. Inoltre leggere questo libro mi ha fatto sognare: mollare tutto, trasferirsi da un’altra parte e aprire la propria piccola pasticceria (una mia prepotente aspirazione), dimentichi di quello che è stato il proprio passato. Per dirla come Schnitzler in Doppio sogno “Molto fuggevolmente, non proprio come un proposito, gli venne l’idea di recarsi a una qualsiasi stazione, partire, non importava per dove, sparire per tutti coloro che lo avevano conosciuto, ricomparire in qualche luogo all’estero e incominciare una nuova vita, sotto spoglie diverse”. L’unica critica che posso, anzi devo fare, al libro è per la quarta di copertina che svia decisamente i lettori: in primis non è vero che Vianne fa tutta questa fatica a farsi accettare dalla comunità, è vero lo zoccolo duro dei benpensanti rimane per tutto il libro, ma gli altri si avvicinano subito alla sua cioccolateria ed instaurano con lei un buon rapporto molto velocemente. In secondo luogo non descriverei Vianne come “simpatica in modo travolgente” (parole che mi aveva fatto subodorare la presenza di un’odiosa Mary-Sue). Ed infine, forse la cosa più grave, viene detto che il Curato Francis domina la comunità con “rude benevolenza”. Grossa inesattezza se pensiamo al fatto che il prete detesta – a volte più, a volte meno – i propri parrocchiani, ritenendoli ipocriti, sciocchi ed inutili. Il suo fervore è quello tipico del fanatico religioso: deve redimere e salvare tutti, ma non perché gli interessi effettivamente di quanto accade, ma perché è la Chiesa Cattolica che lo dice e lo impone. Ciò detto, concedetemi un’ultima riflessione: mi sono innamorata del personaggio di Roux. E no, non perché interpretato da Johnny Depp. VOTO: 5/5 *** “Qualche volta la sopravvivenza è l’alternativa peggiore.”

Ricordati che questa è l'opinione di un lettore e non rappresenta una recensione ufficiale del libro.

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