I ponti di Madison County, recensito da Gino

Un libro cult, definito da molti la storia d’amore più bella di tutti i tempi, io non sono d’accordo assolutamente, adesso spiego le mie ragioni. Lui è Robert Kincaid, fotografo cinquantaduenne, girovago con il suo furgone “Harry”, lei è Francesca Johnson moglie di un agricoltore dell’Iowa, con origini partenopee, e madre di due figli. L’amore si evolve in quattro giornate, e lei è attanagliata da un’eterna scelta, più che mai antiromantica, quella di scegliere se arrendersi tra le braccia dell’amato e vivere finalmente quella vita che aveva sempre sognato o restare nella sua apatica routine quotidiana. Cosa c’è di romantico in questo? Lasciamo stare alcuni passaggi che possono essere deliziosi o l’evolversi successivo della storia, a me sembra più una caccia al ‘che bello cambio vita, ormai ne avevo le palle piene’ che un inno all’amore, che deve essere irrazionale, senza tanti fronzoli, farti palpitare senza ricongiungerti a congetture future, tenerti vivo e prenderti per mano, come quel vento e quelle ceneri che rimarranno simulacro di un amore per me conveniente. "L'analisi distrugge l'interezza. Ci sono cose, cose magiche, che devono restare intere. Se cominci a guardarne le singole parti, svaniscono.” “Aveva imparato a non sottovalutare la rapidità con cui le piccole notizie si diffondevano nelle città di provincia. Due milioni di bambini potevano morire di fame nel Sudan, ma questo non avrebbe scosso nessuno. Ma se la moglie di Richard Johnson veniva vista in compagnia di uno straniero con i capelli lunghi... bé, questa sì che era una notizia! Una notizia da far circolare, su cui rimuginare, una notizia che lambiva in modo vago ma carnale la mente di coloro che l'ascoltavano, l'unica increspatura nella piattezza di quell'annata.” “Gli uomini non sono tutti uguali. Alcuni se la caveranno benissimo nel mondo che sta nascendo. Altri, forse soltanto pochi, no. Lo vedi nei computer e nei robot, e in quello che annunciano. Nel mondo di una volta c'erano cose che potevamo fare, che eravamo destinati a fare, in cui nessun altro e nessuna macchina avrebbe potuto sostituirci. Corriamo veloci, siamo forti e rapidi, duri e aggressivi. Ci è stato infuso coraggio. Sappiamo scagliare le lance molto lontano e sostenere un combattimento corpo a corpo. Alla fine saranno i robot e i computer a occuparsi di tutto. Gli esseri umani gestiranno le macchine, ma per questo non sono necessari coraggio e forza. Gli uomini stanno a tutti gli effetti sopravvivendo alla loro utilità.”

Ricordati che questa è l'opinione di un lettore e non rappresenta una recensione ufficiale del libro.

Di questo autore

Jan 01, 1996
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