La filosofia in cinquantadue favole, recensito da Gino

Finito di leggere “La filosofia in cinquantadue favole” di Ermanno Bencivenga. L’autore con ogni favola ha voluto spiegare un po’ di filosofia, cioè ha voluto dargli un taglio morale sotteso. Personalmente leggendo questo libro, non ho trovato spunti di riflessioni ulteriori, ma cose dette e ridette che a lungo andare annoiano anche. Sono poche le favole che colpiscono e che ti prendono, nota positiva sono tutti brevi quindi si passa subito da un mondo all’altro. Mi è piaciuto il richiamo agli oggetti letterari come ad esempio il segnalibro o la storia poetica sui numeri, o la macchinazione. Quella che più su tutte mi ha colpito è “Il calendario” e ho deciso di riportarla: Il calendario “C’era un piccolo studio, nella vecchia casa nel bosco. Era arredato con semplicità: un divano, un attaccapanni, un tavolino e una scrivania di legno massiccio , istoriata da generazioni di scolari infingardi che, alle prese con divisioni a due cifre o versioni di latino, facevano soste frequenti per incidervi sopra considerazione inattuali e desideri inappagati. Nel buio perenne delle persiane chiuse, una lampada fioca illuminava lo scempio e poco d’altro; appena fuori dal suo raggio, nella penombra, si distingueva a fatica un calendario, attaccato rozzamente alla parete con una puntina da disegno. Un calendario che sembrava inutile ed era quindi snobbato quasi da tutti gli abitanti della vecchia casa del bosco, perché da tempo, ormai, aveva smesso di sognare giorni nuovi. Si era bloccato al 20 Settembre di un certo anno e non c’era stato verso di schiodarlo di lì: né avanti né indietro, la data che annunciava era sempre la stessa. Si erano formate varie teorie, nella vecchia casa del bosco, a proposito di questa strana resistenza all’esercizio delle proprie funzioni cronologiche. Il 20 Settembre di quell’anno era stato un giorno ricco come solo sanno esserlo i giorni, non di denari o di conquiste ma di promesse. Uno di quei giorni che gonfiano la vita con la loro esuberanza, che proiettano innumerevoli futuri, estatici e tragici, casalinghi e avventurosi; uno di quegli inizi che appartengono a mille storie e non si sono decisi ancora da che parte andare e ti tengono in ostaggio con la loro suggestione, con il loro mistero. Qualcuno sosteneva che il calendario fosse rimasto affascinato dal mistero e non aveva saputo districarsene; anzi aveva preferito crogiolarvisi dentro, tanto era il piacere che davano tutti quegli esiti possibili, tutto quel senso di essere giovani e pieni di speranze. E c’era chi volgeva questa spiegazione in un rimprovero: aveva paura di impegnarsi, dicevano: se avesse girato pagina si sarebbe accorto che le cose erano poi andate, di fatto, in un modo o nell’altro, e preferiva non assumersene la responsabilità. Per non parlare di chi la metteva, riduttivamente, in termini molto materiali: si era inceppato qualcosa e bisognava comprare un modello nuovo. Perché un calendario che segna sempre la stessa data è persino peggio di un orologio fermo: questo, almeno, due volte al giorno dà l’ora esatta, ma quello…bisognerebbe che il mondo ricominciasse da capo e arrivasse ancora al medesimo punto. Il vecchio signore che sedeva ogni mattina alla scrivania, però, non si curava di queste teorie, e certo non pensava di disfarsi del calendario. Chiudeva la porta del piccolo studio con la scusa di immergersi in chissà quali ricerche, ma in realtà per stare da solo, per non sentire chiacchiere e poter pensare con calma. Il vecchio signore sapeva che c’è un tempo che scorre a intervalli regolari, misurato con precisione infinitesimale da orologi atomici, astronomici, quantistici, e assolutamente vuoto; e poi c’è ne un altro pieno di emozioni, di volti ed eventi significativi, di affetti, di sogni che hanno colorato un’intera stagione della nostra esperienza. Un tempo misurato dai ricordi; il tempo di quel calendario. Così ogni mattina il vecchio signore accendeva la lampada fioca, mescolava senza intenzione le sue inutili carte e levava lo sguardo là dove la luce cedeva alla penombra, dove facendo un po’ di sforzo i suoi occhi malcerti riuscivano a leggere la data del 20 Settembre.”

Ricordati che questa è l'opinione di un lettore e non rappresenta una recensione ufficiale del libro.

Di questo autore

2011
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La filosofia in cinquantadue favole

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