Stefano (Steve) Lavori (Jobs) e Stefano (ancora Steve) Vozzini (onomatopeicamente Wozniak) sono amici e abitano a Napoli, il primo, detto ‘o gè (il genio), sui famigerati Quartieri Spagnoli. Giovani, intelligenti e intraprendenti decidono di avviare un’attività commerciale: il sogno di ‘o gè è creare un computer ultra prestazionale e ultra compatto, una “scheggia” bella anche a vedersi, insomma. Vozzini pensa al design e al logo: la Q, una bella lettera panciuta come una donna incinta, a indicare anche i Quartieri. Con un piccolissimo capitale iniziale, recuperato nel salvadanaio, acquistano l’occorrente per il primo, e con il ricavato della vendita ne potranno fare due, poi tre, cinque, e così via. Facile, che ci vuole? Nel garage della famiglia Lavori fervono i lavori di assemblaggio, c’è già un compratore, e tutto sembra procedere per il meglio quando alla porta bussa la prima piaga italiana travestita da vigili: la burocrazia! Costituzione della società, iscrizione alla Camera di Commercio, apertura posizione Inps e Inail e messa a norma dei locali sono i primi obblighi da assolvere, e costano una cifra spropositata. I due non si lasciano scoraggiare facilmente, consultano un commercialista che suggerisce loro di usufruire di finanziamenti appositi, intanto si possono rivolgere in banca per un prestito. Ma le banche, si sa, erogano soldi solo a chi già li ha e può offrire solide garanzie. E chi non li ha? A Napoli si dice che la banca quando piove si riprende l’ombrello, sarà vero? E i finanziamenti arrivano, se arrivano, anche dopo due anni. Tuttavia, con la grinta e l’inventiva, i due Stefano riescono in qualche modo ad aggirare anche quest’ostacolo, ma non è finita. Alla porta del garage un giorno bussa il male dei mali, l’undicesima e più purulenta di tutte le piaghe: la camorra! Antonio Menna, l’autore di questo divertente ma amaro testo, inizialmente postato sul suo blog e che in poco tempo ha fatto il giro d’Italia, è napoletano d’adozione ma perfettamente integrato nella città partenopea tanto da essere in grado di descrivere perfettamente i personaggi, i loro pensieri, le loro aspirazioni e anche le disillusioni. ‘O gè non ci sta, vuole seguire quella che sente essere la sua strada, non vuole seguire le orme del padre rassegnato a fare l’ambulante, né assecondare la madre che si accontenta di quello che ha. ‘O gè e il suo amico possono rivoluzionare un mercato, sono in grado di “spaccare” creando un’attività che potrebbe dare lavoro a tante famiglie, ma siamo in Italia, e soprattutto a Napoli. Antonio racconta la storia di questi due ragazzi con garbata ironia, riuscendo a conferire leggerezza, fa sorridere anche se il tema è drammaticamente attuale e scottante, in qualche maniera sdrammatizza ma allo stesso tempo denuncia. Le furberie di commercialisti, le ruote da ungere perché scivolino meglio, la burocrazia, la protervia bancaria e la camorra sono la morte dell’intero Paese. Ma sotto tutto questo cumulo di immondizia il cuore di Napoli pulsa forte, i quartieri non sono solo “pizzo”, ci sono giovani che cercano di emergere e si ribellano. L’autore ha confezionato una piccola perla, l’ha incartata con la burocrazia e la camorra a fare da coccarda, ma, scartato un regalo, buttiamo via il contenente e badiamo al contenuto, e quello è bello e rincuorante. “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” avrebbe dato vita alla Apple? Se Stefano e Stefano fossero nati in America avrebbero fatto gli ambulanti? Napoli è il paese della creatività, dell’arte di arrangiarsi, è una città stupenda sommersa dalla “monnezza” intesa nel senso più ampio. È una città musicata e cantata nei secoli, è come Briggeta, protagonista di una vecchissima canzone che la descrive così: sotto tenite ‘o zzuccaro e ‘ncoppa, amara site, ma tanto ch’aggi’ ‘a vutà ca ‘o doce ‘e sott’ ‘a tazza fin’ ‘a mmocca mm’ha da arrivà. Il dolce c’è nel cuore di Napoli, e Antonio Menna ce l’ha dimostrato.