Dopo le prime pagine piene di allitterazioni , ytempo fa ho restituito Il grande romanzo americano alla biblioteca complici anche i termini sul football per me arabo puro,ma limpresa di leggere tutto Roth assieme al mio club di lettura mi ha fatto insistere su questa lettura. Che mi ha convinto è stata la dissacrante spiegazione di bene e male parlando di autori classici.Moby Dick di Herman Melville? «Cinquecento pagine di grasso di balena, cento pagine sul pazzo Achab e una ventina su come sono bravi i negri con l'arpione»Hucleberry Finn di Mark Twain? «Un libro su un ragazzo e uno schiavo che cercano di scappare di casa. Sugli ubriaconi e sui ladri e sui matti che incontrano. Una storia di avventura per ragazzi. Un libro di un tale che sta pensando come sarebbe bello essere ancora giovani. A quando i matti e gli alcolizzati erano sempre gli altri e non tu. Roba per piccoli». La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne? «Un libro dove l'unico che ha le palle è la protagonista». Francis Scott Fitzgerald? «Un poeta minore». L'urlo e il furore di William Faulkner? «Una storia narrata da un idiota. Illeggibile». Gli ambasciatori di Henry James? «Merda policroma. Cinquecento parole dove ne bastava una». Non è l'ultima provocazione di un critico in cerca di visibilità, ma Philip Roth che torna a colpire. Il grande romanzo americano , scritto nel 1972 e per la prima volta apparso in Italia nel 1982 da Editori riuniti, un libro che già dal titolo descrive al meglio le ambizioni del Philip Roth di oltre 40 anni fa.Leggerlo come un libro sullo sport che appassiona l'America come in Italia il calcio è riduttivo.E' una satira feroce che diventerà il life motiv di molti suoi romanzi.Non le manda a dire Roth, in un immaginario dialogo tra il protagonista, un novantenne ex cronista di baseball e un immaginario Hemingway durante una battuta di pesca. Giudizi netti, taglienti, sin dalla prima pagina che inizia con «Chiamatemi Smitty», richiamo al celeberrimo incipit del Melville di Moby Dick e del suo «Chiamatemi Ishmael». La trama è semplice e al tempo stesso complessa: un complotto comunista e uno «scandalo capitalista» nel 1946 in America hanno deciso di eliminare la Patriot League (le Lega di baseball degli Stati Uniti). Il tutto raccontato attraverso lo sguardo dell'ex cronista sportivo novantenne che narra la storia di una squadra di baseball di senza tetto, animata dall'unico giocatore che «abbia mai provato a uccidere l'arbitro», l'ex carcerato John Ball «il Babe Ruth della galera», un battitore sempre ubriaco e il primo giocatore nano del campionato. Una squadra sgangherata è la protagonista del libro Si ride per nonn piangere con episodi costellati da giocatori improbabili e giocatori che rimangono più a terra che in gioco.Roth ci racconta un periodo storico, tra gli anni immediatamente successivi alla Grande Depressione del 1929 sino al maccartismo con il suo clima da «caccia alle streghe». Il baseball diventa così lo specchio ideologico di quel periodo diventando spesso una parodia tragicomica del sogno americano.Il grande romanzo americano ci apre gli occhi su cosa può fare una passione di massa un delirio collettivo sia esso uno sport come il football o una persona che trascina le folle come Hitler. Questo è un libro da rileggere non facendosi condizionare da termini sportivi, ma scavando nel pensiero di Roth. E' un libro che ci prepara a leggere questo grande autore senza preconcetti l'ho capito anche rileggendo la splendida recensione di Twitter @gianpaoloserino di cui ho riportato molti passi. Consiglio la lettura