Auschwitz. Ero il numero 220543
  • 9788854131958
  • Newton Compton
  • 2011

Auschwitz. Ero il numero 220543

di Avey Denis, Broomby Rob

Nel 1944 Denis Avey, un soldato britannico che stava combattendo nel Nord Africa, viene catturato dai tedeschi e spedito in un campo di lavoro per prigionieri. Durante il giorno si trova a lavorare insieme ai detenuti del campo vicino chiamato Auschwitz. Inorridito dai racconti che ascolta, Denis è determinato a scoprire qualcosa in più. Così trova il modo di fare uno scambio di persone: consegna la sua uniforme inglese a un prigioniero di Auschwitz e si fa passare per lui. Uno scambio che significa nuova vita per il prigioniero mentre per Denis segna l'ingresso nell'orrore, ma gli concede anche la possibilità di raccogliere testimonianze su ciò che accade nel lager. Quando milioni di persone avrebbero dato qualsiasi cosa per uscirne, lui, coraggiosamente, vi fece ingresso, per testimoniare un giorno la verità. La storia è stata resa pubblica per la prima volta da un giornalista della BBC, Rob Broomby, nel novembre 2009. Grazie a lui Denis ha potuto incontrare la sorella del giovane ebreo che salvò dal campo. Nel marzo del 2010, con una cerimonia presso la residenza del Primo ministro del Regno Unito, è stato insignito della medaglia come "eroe dell'Olocausto".


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Commenti (2)

08/02/2012 - Gino
utente
Prima di iniziare a leggere guardatevi questo e capirete: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=W8GBVBQ5D2U Durante la seconda guerra mondiale il giovane soldato inglese Denis Avey venne catturato dai tedeschi in Egitto e dopo varie peripezie, fra cui una sosta in Italia, finì in un campo di prigionia militare vicino ad Auschwitz. Per la precisione – dato che il lager per antonomasia era in realtà costituito da tre sezioni/località contigue: Auschwitz, Birkenau e Monowitz – Avey si trovò a dover lavorare per i nazisti presso quest’ultimo campo di concentramento, accanto alla fabbrica che il gruppo industriale IG Farben stava costruendo per produrre gomma sintetica. Denis non riesce più a restare all’oscuro delle torture,delle punizioni che avvengono nel campo di Auschwitz e cercherà in tutti i modi, mettendo a repentaglio la propria vita di entrarci e di conoscere sempre di più. Ma perché lo fece? Perché rinunciò volontariamente alla protezione al suo status di prigioniero di guerra inglese per guadagnare l'accesso a un luogo dove speranza e umanità erano state distrutte? Vi riporto le parole dette dallo stesso Denis per farvi comprendere meglio: “Ora ve lo spiego. Sapevo che ad Auschwitz i detenuti venivano trattati peggio delle bestie, però non avevo idea di cosa fossero realmente i vari campi in cui si trovavano gli ebrei; né che Auschwitz I, a ovest delle nostre baracche, fosse il peggiore campo di sterminio fino alla costruzione, ancora più a ovest, di Auschwitz-Birkenau, che ridefinì il concetto stesso di sterminio su scala industriale. A quel tempo non sapevo che Auschwitz III Monowitz, il campo confinante con il nostro, era il meno letale, sempre parlando in termini relativi. Sapevo solo che gli ebrei mi morivano davanti agli occhi, e che quelli troppo deboli per lavorare venivano fatti fuori. Guardando i loro volti, con le guance scavate e le orbite infossate nel cranio, sembrava che di loro non fosse rimasto nulla. Erano stati privati di ogni emozione e sentimento con la violenza. Dovevo vedere con i miei occhi quale fosse la causa di tutto questo. E per farlo, dovevo andarci di persona. Molti di loro ci imploravano, se mai fossimo riusciti a fare ritorno a casa, di raccontare al mondo ciò che avevamo visto. Gli uomini a righe sapevano bene quale fosse il destino in serbo per tutti loro. La prova era nel tanfo che usciva dai crematori. E sì, anche noi avevamo sentito le voci che giravano a proposito delle camere a gas e delle selezioni, ma io non potevo accontentarmi delle dicerie. Le parole "congettura" e "ipotesi" non appartengono al mio vocabolario. Se anche non avevo cognizione delle differenze esistenti tra un campo e l'altro, dovevo scoprire a tutti i costi cosa stesse trasformando quegli esseri umani in ombre. Volevo vedere il più possibile. Doveva esserci una spiegazione, e confidavo che in futuro si sarebbe fatta giustizia. Malgrado la mia impotenza, anch'io potevo fare qualcosa, e proprio per questo non potevo chiudere gli occhi. Non era granché, ma se fossi riuscito a entrare, se solo avessi visto, avrei potuto portare la mia testimonianza”. Un libro documento che spiega la genesi che il protagonista ha vissuto nei campi di concentramento, gli scambi epistolari con la moglie dell’amico Ernst che si riveleranno di vitale importanza ma non solo, l’autore ci racconta anche la vita post-concentramento. Ci racconta delle interviste, delle lotte fatte per rivendicare i diritti dei morti di guerra e non, lo svolgersi delle sue condizioni di salute prima con l’intestino, poi con la vista e infine l’idea di scrivere un libro che potesse essere documento diretto di tante ingiustizie,barbarie e atrocità. In questo libro c’è tutto mi è piaciuto di più di Avevano spento anche la luna di Ruta Sepetys in quanto qui viene proprio scritto passo passo il percorso che l’autore fa prima di arrivare alla stesura del libro,e non scordiamoci che è una storia vera e non inventata quindi la si vive leggendola con maggiore pathos e scoramento. Consiglio a tutti la lettura di questo libro per comprendere meglio e appieno gli avvenimenti che hanno sconvolto l’Italia del ’45.

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18/07/2014 - simona72
utente
la storia vera di un soldato inglese che per due volte riesce ad organizzare uno scambio di persona e a verificare con i suoi occhi e sulla sua pelle cosa devono sopportare gli ebrei prigionieri nei lager... molto bello...

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